Il tempio dell’alba – Yukio Mishima

Era la stagione delle piogge a Bangkok. L’aria era satura di una tenue pioggerella che fluiva incessante. Spesso tuttavia gocce danzavano in un raggio di sole smagliante. Qua e là si aprivano, sempre visibili, brevi squarci di azzurro, e anche quando le nubi si addensavano, convergendo attorno al sole, nell’area periferica esterna il cielo era sempre turchino vivido e intenso. Poi, all’approssimarsi di una burrasca, s’incupiva diventando sinistro e minaccioso. Una sorta di funesto auspicio sembrava gravare sul verde dominante della città coi suoi tetti bassi, contrappuntata da palmizi sparsi.

Il nome dell’abitato risale alla dinastia Ayutthaya, quando per la prima volta si cominciò a chiamarla bang, “città”, e kok, “olive”, a causa dei suoi numerosi oliveti. Un’altra antica denominazione dell’agglomerato urbano è quella di Krung Thep, ossia “Città degli angoli”. Questa metropoli, situata a meno di due metri sopra il livello del mare, dipende interamente, per i trasporti e gli approvvigionamenti, da una rete di canali. Quando si procede all’apertura di nuove strade ammucchiando terriccio e detriti, automaticamente si creano canali. Quando si scava nel terreno per gettare le fondamenta di una casa, si formano tosto altrettanti acquitrini. Queste paludi sono di norma collegate a dei piccoli corsi d’acqua: pertanto i “canali” scorrono in ogni direzione, confluendo nel comune collettore costituito dal Menam, rilucenti del colorito bruno che contraddistingue l’epidermide degli abitanti.

Nel centro della città sorgono edifici a tre piani di stile europeo, dotati di balconi, e numerose costruzioni di mattoni, a due piani o anche a tre, queste ultime incluse nel perimetro della concessione straniera.

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

La voce degli spiriti eroici - Yukio Mishima

Una sera, all’inizio della primavera, partecipai a un rito spiritico diretto del professor Kimura, ricevendone impressioni che non potrò mai dimenticare. Dovrei astenermi del descrivere ciò che accadde quella notte, tuttavia ritengo mio dovere riferirne gli eventi con massima fedeltà.

Mentre nel “metodo di venerazione” si onorano le divinità con offerte e con preghiere propiziatorie, nel “metodo oscuro di venerazione” si colloquia con gli spiriti dei defunti.

Esistono possessioni “ombrose” e “luminose”: nel primo caso si varcano i confini del mondo spirituale senza averne coscienza; in virtù della concentrazione mentale è possibile udire messaggi che la gente comune non è in grado di cogliere: l’ispirazione artistica, ad esempio, rientra in questa categoria.

Invece il “luminoso ritorno dei kami  è quel che comunemente s’intende per fenomeno di possessione: non solo il medium si avvede di essere posseduto da uno spirito, ma anche i partecipanti al rito se ne rendono conto.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Neve di primavera - Yukio Mishima

Allorché a scuola la conversazione cadde sulla guerra russo-giapponese, Kiyoaki Matsugae domandò a Shigekumi Honda, il suo più caro amico, che cosa riuscisse a ricordarsene. 
I ricordi di Shigekumi erano vaghi. Rammentava e stento che una volta lo avevano portato davanti al cancello d’ingresso per osservare un corteo che sfilava alla luce delle torce. L’anno della fine della guerra avevano entrambi undici anni, e a giudizio di Kiyoaki avrebbero dovuto conservarne un ricordo un po’ più netto. I loro compagni di classe che parlavano disinvoltamente della guerra in tono da conoscitori, in genere arricchivano le loro nebulose sensazioni mnemoniche per mezzo di episodi attinti dai discorsi degli adulti.

Due membri della famiglia Matsugae gli zii di Kiyoaki, vi avevano perduto la vita. Sua nonna percepiva ancora una pensione assegnatale in virtù di quei due figli uccisi, ma quel denaro non lo usava mai: posava le buste intatte sull’altare degli antenati. 
Era forse per questo che, di tutta la collezione di fotografie di guerra, quella intitolata “Cerimonie commemorative dei morti in guerra nelle immediate adiacenze del tempio di Tokuri” impressionava Kiyoaki più di ogni altra. Era datata 26 giugno 1904, anno trentasettesimo dell’era Meiji. Questa foto, stampata in color seppia, non aveva niente in comune col solito guazzabuglio di ricordi bellici. Era stata concepita dall’occhio di un artista dotato di senso volumetrico molto marcato: si sarebbe detto infatti che le migliaia di soldati presenti fossero stati disposti deliberatamente, come le figure di un quadro, per concentrare l’attenzione sul grande cenotafio di legno naturale che si ergeva in mezzo a loro.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

La casa delle belle addormentate – Yasunari Kawabata

“Scherzi di cattivo genere, non fatene; non sta bene neppure infilare le dita nella bocca delle ragazze che dormono” raccomandò la donna della locanda al vecchio Eguchi.

Al piano superiore non c’erano che la stanza di otto tatami, in cui Eguchi stava parlando con la donna , e quella da letto attigua: da quanto aveva visto al pianterreno non c’era salotto né altro, e dunque non si poteva parlare di locanda. Fuori non c’era neppure l’insegna. Né il segreto di quella casa consentiva forse di affiggerne. All’interno non si udiva alcun rumore. A parte la donna che aveva accolto il vecchio Eguchi al cancello chiuso a chiave e con a quale egli stava ora parlando, non si vedeva nessuno; a lui, giunto là per la prima volta, non era tuttavia chiaro se la donna fosse la padrona o una inserviente. Sembrava comunque opportuno non fare domande superflue.

La donna, piccola e sulla quarantina, aveva una voce giovanile e parlava con un’inflessione lenta che pareva voluta; muoveva le labbra sottili quasi senza aprirle, e non guardava in viso l’interlocutore.

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

 

Morbose fantasie – Jun’ichiro Tanizaki

Poiché sapevo bene da gran tempo sino a qual punto Sonomura, che peraltro ammette di essere affetto da pazzia ereditaria, fosse capriccioso, eccentrico ed egoista, ero ormai abituato alle sue stranezze. Ma quel mattino, quando ricevetti la sua telefonata, non potei fare ameno di stupirmi. Certamente era fuori di senno. È soprattutto in questa stagione che la gente impazzisce. Senza dubbio, pensai questo giugno opprimente e afoso ha suscitato qualche strano pensiero nel suo cervello, inducendolo a farmi una simile telefonata. No, non mi limitai a pensarlo, ne ero convinto.

Saranno state circa le dieci del mattino quando mi telefonò. “Ah, Takahashi, puoi venire immediatamente a casa mia? Desidero mostrarti una cosa, ma devo farlo assolutamente entro oggi” mi disse con tono agitato, quando udì la mia voce.

“ Mi dispiace, ma oggi non posso venire. Sto scrivendo un racconto per una rivista, e devo consegnarlo improrogabilmente entro le due di questo pomeriggio. Ho lavorato tutta la notte.”

Era la verità. Lavoravo senza posa dalla sera precedente, e non avevo chiuso occhio. Anche ammettendo che Sonomura fosse particolarmente pigro, quell’invito a raggiungerlo subito a casa sua, senza preoccuparsi minimamente dei miei impegni, mi parve davvero troppo egoistico, e mi adirai.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Prima neve sul Fuji– Yasunari Kawabata

Il 2 novembre, il giorno prima del Festa della Cultura, Takako rilesse due, tre volte “Paesi del mondo” sul Sankei jiji shinbun.

La rubrica narra fatti curiosi e interessanti accaduti all’estero. 
Più che notizie, si tratta di racconti n miniatura.

La sera prima lo stesso giornale aveva dato grande risalto alla rottura del fidanzamento tra Margaret d’Inghilterra e il capitano Townsend. Per questa ragione, “Paesi del mondo” del 
2 novembre era in parte dedicato alla storia d’amore della principessa.

Sugli altipiani scozzesi capita spesso di vedere cumuli di pietre. Anticamente questi cumuli celebravano gli eroi uccisi in battaglia, ma oggi si dice che aggiungendo una pietra su questi cumuli gli innamorati ottengano l’amore eterno. Quattro anni fa, il cumulo che si trova in una landa selvatica a tre miglia dalla città di Balmoral divenne improvvisamente famoso perché era corsa voce che la principessa Margaret e il capitano Townsend vi avessero posato una pietra giurando di amarsi per sempre. E adesso quest’idillio era finito.

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

 

Confessioni di una maschera- Yukio Mishima

Per molti anni continuai a sostenere ch’ero capace di ricordare cose viste all’epoca della mia nascita. Da principio, ogni volta che lo dicevo, i grandi si mettevano a ridere, ma  poi, sospettando la velleità di raggirarli, guardavano con astio la faccia pallida di quel fanciullo senza fanciullezza. Di quando in quando mi capitava di dirlo in assenza di visitatori che non erano intimi amici di famiglia; allora mia nonna, per paura che mi giudicassero un idiota, mi dava seccamente sulla voce ordinandomi di andare a giocare altrove.

Di solito, mentre ancora la loro ilarità si smorzava nel sorriso, i grandi passavano a cercare di contraddirmi con qualche spiegazione più o meno scientifica. Nel tentativo di escogitare argomenti adatti a far presa sulla mente di un bimbo, intonavano sempre uno sproloquio improntato di notevole zelo drammatico, affermando che gli occhi dei piccoli non sono aperti alla nascita, e che, se anche fossero ben spalancati, sarebbe impossibile che il neonato possa scorgere le cose con chiarezza sufficiente a ricordarle.

“Non ti par giusto?” dicevano, scrollando l’esile spalla del bambino tuttora incredulo. Ma proprio in quel punto sembrava li colpisse l’idea che stavano per lasciarsi accalappiare dai suoi trucchi: anche se per noi non è che un bimbo, sarà meglio stare in guardia contro di lui. Questa canaglietta s’ingegna certamente di prenderci in castagna, di costringerci a parlargli di “quella tal cosa che fanno i grandi”, e nulla gli impedirà di chiedere, con innocenza ancora più disarmante: “da dove sono venuto, io? Come sono nato?” E alla fine mi squadravano di nuovo, in silenzio, con uno scialbo sorriso gelato sulle labbra, a dimostrare che, per qualche ragione di cui sarei mai venuto a capo, il loro amor proprio era stato profondamente offeso.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

La voce delle onde - Yukio Mishima

Uta-jima – Isola del canto – ha solo millequattrocento abitanti e una costa lunga meno di tre miglia.

In due punti dell’isola la vista è di una bellezza incomparabile. Uno è quello dove sorge il santuario di Yashiro, che guarda verso nord-ovest e si trova nei pressi del crinale più alto dell’isola. 
Il tempio domina il panorama dell’ampia distesa del golfo di Ise, e l’isola è situata proprio nello stretto che unisce questo golfo all’oceano pacifico. Da nord si allunga la penisola di Chita, mentre quella di Atsumi si spinge verso nord-est. A ovest s’intravede la linea della costa, fra i porti di Yamada e di Yokkaichi a Tsu.

Saliti i duecento gradini di pietra che portano al tempio, e giunti là dove si trova un torii guardato da due dei soliti cani di pietra che adornano i templi, volgendosi indietro, par di vedere quelle spiagge lontane cullare tra le loro braccia il leggendario golfo di Ise, immutato nel corso dei secoli. Un tempo lì crescevano due pini che intrecciavano i loro rami, potati a forma di torii,  offrivano al panorama una singolare cornice. Ma ormai sono morti da qualche anno.

Proprio in questa stagione glia aghi dei pini tutt’intorno sono ancora di un verde sbiadito dall’inverno, ma già vicino alla spiaggia le alghe marine primaverili tingono il mare di rosso.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Trastulli di animali - Yukio Mishima

È difficile immaginare che questa fotografia sia stata scattata pochi giorni prima dell’ultimo penoso incidente. Tutti e tre hanno un’espressione veramente serena e lieta. Sembra proprio di leggervi: ecco il viso di persone che hanno fiducia l’una nell’altra. La fotografia è stata subito donata all’abate del tempio Taisenji, che la conserva ancora con cura. Sulla banchina del magazzino per l’attrezzatura navale, sotto il sole cocente dell’estate, abbacinati anche dal riflesso del mare sottostante, Ippei Kusakado con uno yukata bianco a piccolissimi motivi, Yūko con un abito bianco, Kōji con maglietta da polo e pantaloni bianchi appaiono come un’unica candida macchia in cui spiccano solo i volti abbronzati; i colori sono innegabilmente vivi, ma è come se l’immagine fosse pervasa da una vaga oscillazione, si ha l’impressione che sia sfuocata. È naturale. Perché la macchina fotografica era stata affidata al barcaiolo e la fotografia scattata dalla barca che, nonostante l’assenza del vento, non poteva esimersi da un leggero ondeggiamento.

È un piccolo porto di pescatori chiamato Iro, nella parte occidentale di Izu, e occupa il lato orientale di una profonda insenatura.

 

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Cavalli in fuga - Yukio Mishima

Era il 1932. Shigekuni Honda aveva trentotto anni. In concomitanza con il procedere dei suoi studi di diritto all’università imperiale di Tokyo, aveva vinto il concorso che gli consentiva di accedere ai ranghi della magistratura, e una volta ottenuto il diploma era entrato come praticante al tribunale distrettuale di Osaka. Dalla città non si era più allontanato. Nel 1929 aveva raggiunto il grado di consigliere di corte, e l’anno prima, già promosso primo consigliere aggiunto alla corte distrettuale, era stato destinato alla corte d’appello di Osaka in qualità di vice-consigliere aggiunto.

A vent'otto anni, Honda si era sposato. Sua moglie era la figlia di un amico di suo padre, uno dei magistrati che la riforma giudiziaria aveva costretto alla pensione. Subito dopo la cerimonia nuziale a Tokyo, gli sposi si erano stabiliti a Osaka. Negli anni successivi la giovane donna non aveva dato figli al marito, ma Rié era una ragazza tranquilla, scialba. Tra i coniugi regnava l’armonia.

Suo padre era morto tre anni prima. Sul momento, Honda era stato tentato di cedere la casa avita e di far venire sua madre a Osaka; ma quest’ultima non aveva accondisceso, sicché ora viveva in solitudine nella grande dimora di Tokyo.

La moglie di Honda aveva una domestica che l’aiutava a sbrigare le faccende nella casa d’affitto in cui abitavano. I locali erano cinque: due al secondo piano e tre al primo, ivi inclusa la stanza di soggiorno. Quanto al giardino, si estendeva per non meno di sessanta metri quadrati. Per il tutto, Honda versava un affitto mensile di trentadue yen.

Honda non si limitava a passare tre giorni la settimana in tribunale: lavorava anche in casa. Per recarsi alla corte d’appello prendeva il tram da Abeno, nel quartiere di Tennoji, a Kitama, nella città bassa.

 ---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Padiglione d’oro – Yukio Mishima

Mio padre mi aveva parlato spesso del Padiglione d’oro, fin da quando ero bambino. Sono nato su uno sperduto promontorio che s’avanza nel mar del Giappone a nord-est di Maizuru. Mio padre era nato invece a Shiraku, più a oriente; poi, la vocazione lo aveva fatto abate e l’aveva  portato a vivere in romitaggio, su quel promontorio; là si era ammogliato e aveva procreato me. A capo Nariu e nei dintorni scuole medie non c’erano, e così a una certa età dovetti staccarmi dal focolare paterno. Fui affidato ad uno zio e frequentai la scuola di Maizuru-est: la scuola era un po’ fuori del paese, e ogni giorno per arrivarci dovevo fare un bel pezzo di strada a piedi.

Il paese di mio padre era pieno di luce e di sole, ma fra novembre e dicembre non mancavano ripetuti scrosci di pioggia e spesso senza che neppure una nuvola li lasciasse prevedere; mi domando ora se la mia volubilità non abbia avuto la sua prima causa proprio in quel clima.

Nelle giornate limpide di maggio, quando, dopo scuola, mi ritiravo nella cameretta assegnatami dallo zio, scrutavo le colline lontane: le foglie tenere che riverberavano i raggi del tramonto sembravano tessere un tenue sipario dorato proprio dinanzi a me: e quello spettacolo accendeva nella mia mente l’immagine del Padiglione d’oro.

Era un immagine conforme, più alle fotografie e alle varie illustrazioni a me note, alle descrizioni che mio padre m’aveva fatto tante volte del Padiglione. Egli non mi parlava mai del fatto che la costruzione fosse tutta rilucente d’oro.

---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

Lo specchio degli inganni – Yukio Mishima

Al largo, la bruma incupiva le navi lontane. Nondimeno la luce appariva più intensa di ieri. Si poteva distinguere il crinale dei monti della penisola di Izu. Era un mare placido di maggio. Il sole era ardente, il cielo turchino, non c’era che qualche esile striatura di nubi.

Onde minute si frangevano sulla riva. Sotto di loro, prima di disgregarsi, apparivano sgradevoli di tinte ventrali d’usignolo, come se in loro si fossero accentrate tutte le alghe di varietà meno accattivante.

L’agitarsi e il sommuoversi del mare, giorno dopo giorno, ripetizione quotidiana del mare di latte che si trasforma in burro nella leggenda indiana. Forse il mondo non voleva concedergli il riposo. C’era, forse, in quello spettacolo, qualcosa che evocava tutto il male della natura.

Mare di maggio che muove senza posa le sue punte luminose, miriadi di picche minute e rilucenti.

In alto, nel cielo, tre uccelli parvero unirsi, fondendosi in un tutt’uno. Poi, in un moto caotico, tornarono a separarsi. Ciò doveva significar qualcosa. Quell’unirsi e poi separarsi al punto da avvertire il vento dell’ala più vicina, prima di allontanarsi ancora, prima di dileguarsi nello spazio. Avviene che tre idee convergano nel cuore.

A mano a mano che la sua massa ingrandiva, lo scafo di un cargo con la ciminiera che recava l’emblema di un monte sopra tre righe orizzontali suscitava un’impressioni di maestà, di crescita clamorosa e subitanea.

Erano le due del pomeriggio quando il sole scomparve in un esiguo bozzolo di nubi, simile al lucore di un bruco bianchiccio e opalescente.

L’orizzonte sembrava d’acciaio blu-nero, che si adattava perfettamente al mare.

---------------------------------------------------------------------------------

torna all'elenco

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA SUL COPYRIGHT:
non è evidentemente intenzione di Casazen.com violare alcun copyright, pubblichiamo le prime pagine solamente per offrire al visitatore la panoramica più esaustiva possibile, avvalendoci in tal senso del diritto di citazione.
In ogni caso se il detentore dei diritti di uno o più di questi testi ritenesse inopportuna questa nostra iniziativa, ce lo comunichi (info@casazen.com) e provvederemo ad eliminare la prima pagina corrsipondente.